Questo lavoro sulla
teoria musicale nasce, prima di tutto, dall’esigenza di fare
chiarezza su alcuni aspetti teorici, ma anche linguistici,
dell’universo musica.
I vecchi testi di
teoria, ma anche quelli abbastanza recenti, a volte compiono degli
svarioni concettuali che appaiono, a dir poco, imbarazzanti; per
esempio, l’argomento dei “tempi pari” e “tempi dispari” in qualche
testo, non viene per niente trattato o, in altri, viene trattato
quasi sempre male. Così come l’argomento di “semitono e tono”: non
si può trattare questo argomento se non si precisa che nella nostra
epoca esso è solo la sintesi di altri due procedimenti sicuramente
più antichi e rispettosi, ciascuno a proprio modo, dell’intima
natura dei suoni. Il primo risale addirittura all’epoca dell’antica
Grecia ed è stato anche il più longevo dei tre, visto che è stato
adottato per più di 1500 anni ed è il sistema pitagorico; l'altro,
più "naturale", è il sistema zarliniano. Questo argomento dei
sistemi musicali delle epoche precedenti è completamente assente in
qualche testo di Teoria, o è trattato male in qualche altro; è raro
l’ esempio di una sua buona trattazione, e quando c’è, appartiene
sempre ad un testo di argomento specifico, mai ad un testo di teoria
musicale. Un altro “capriccio” teorico lo si può riscontrare, in
quasi tutti i testi di teoria, sulla differenza che esiste tra il
“trasporto” e la “trasposizione”. Anche qui, alcuni testi
semplicemente non ne parlano come se la differenza non esistesse ed
invece esiste e come; altri ne parlano ma non sono molto puntuali
nell’esposizione teorica, tanto è vero che, non di rado, gli stessi
strumentisti traspositori hanno le idee confuse sull’argomento
“trasposizione”. E così via…
Poi si rilevano alcune
“mancanze” linguistiche, presenti nei succitati testi di teoria, che
nascono da una nomenclatura “distratta” e passata. Un esempio per
tutti può essere rappresentato dalla parola “tempo”: si usa questa
parola per indicare la velocità di un andamento musicale, per
indicare uno dei movimenti di una sinfonia o altra forma simile ad
essa come la “sonata”, poi significa la frazione espressa in chiave,
e ancora altro… Tutto questo ed altri episodi simili, non
costituisce, da un punto di vista della comunicazione, un buon
esempio di fluidità e scorrevolezza.
Ma questo lavoro nasce
anche dall’esigenza di correlare, nei limiti consentiti da un’
esperienza editoriale di circa 140 pagine, l’ambito
teorico-
musicale con altre discipline umane come la storia, la filosofia, la
fisica, l’acustica, la matematica ecc….; compito, questo, affidato
alla parte più speciale del libro che è quella delle
digressioni. In tale ambito trovano risposta diversi
quesiti di ordine teorico che affrontano argomenti di fisica, come
le oscillazioni e le vibrazioni; di filosofia, come il “processo
musicale” (vera novità del libro, anche se non la sola);
di linguistica, come la legatura proibita o la sincope
zoppicante ecc…Tutte queste precedenti ipotesi di lavoro teorico
cercano, con equilibrata determinazione, di collegare alcune
esperienze umane riguardanti i vari campi del sapere con
l’esperienza schiettamente musicale!
Il volume
è in vendita anche on-line sul seguente link:
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Buona lettura.
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Dopo circa 30 anni di attività didattica nel campo della lettura
musicale, ho ritenuto opportuno codificare in una esperienza
editoriale, tutte le conquiste metodologiche da me acquisite in tale
arco di tempo. L'impostazione che pratico, oramai in modo totale da
sei anni, mi ha riservato dei risultati molto importanti e
lusinghieri sull'apprendimento e quindi l'insegnamento del solfeggio
(risultati che mi piacerebbe estendere a tutte le persone
interessate - quindi maestri, allievi e appassionati di musica).
I momenti importanti di tale lavoro (almeno per quanto ci possa
riuscire una scheda di presentazione) che permettono di ipotizzare
un "nuovo corso" didattico e così, dare anche un calcio al passato
spesso ampolloso e inutile (sento ancora parlare di alcuni testi
"sacri" che dovrebbero andare solo al mattatoio), sono
fondamentalmente tre.
In tali momenti si avverte una netta differenza tra il mio lavoro e
l'impostazione di quasi tutta la produzione letteraria italiana in materia
di solfeggio parlato.
Il primo grande episodio di rottura è dato, nei volumi del primo livello di
apprendistato, dalla separazione di ciascun volume in due parti in cui una,
tratta la sola lettura delle note, ed una seconda parte, tratta quasi
esclusivamente il ritmo (solfeggio vero e proprio), dato l'ausilio
prevalente di sole tre note disposte quasi sempre in modo congiunto.
Concludo questo primo punto aggiungendo che gli esercizi di solfeggio, a
discrezione del maestro, possono anche essere trattati come veri e propri
solfeggi ritmici.
Il secondo grande punto di distacco dal passato (passato anche recentissimo)
sta nel fatto che il mio lavoro distingue due tipi di approccio alla lettura
musicale: quello con il "rigo a chiave doppia" ("appendice al primo volume"
- per pianisti e simili) e quello con il "rigo a chiave singola" ("volume
primo" - per tutti gli altri strumentisti).
Ritengo che questo mio secondo punto sia un momento veramente nuovo rispetto
a tutta la letteratura esistente, perché sintesi di quella voglia legittima
di "oggettivazione" di cui la lettura musicale ha necessariamente bisogno e
l'idea, altrettanto legittima di destinare la lettura ad un "suonare" la
musica e quindi: il rigo di pianoforte (cioè a doppia chiave) verrà
solfeggiato dal pianista e simili, mentre il chitarrista e simili
solfeggeranno il "rigo a chiave singola").
Il terzo grande momento riguarda il grado di razionalità che permea questo
mio lavoro (provare per credere). Un esempio per tutti.
(domanda). In una lettura con suddivisione è più facile insegnare la
"sestina" o la "terzina"?
(risposta).E' più facile insegnare la sestina perchè è più facile fare "sei
diviso due" che non "tre diviso due", quindi un buon libro di solfeggio
dovrebbe trattare prima l'argomento "sestina" e poi l'argomento
"terzina"...........
e questo in giro non esiste!
Poi c’è l’esperienza del solfeggio cantato: un altro capitolo di didattica
semplicemente offeso dalla storia dell’insegnamento musicale.
Questo mio lavoro sull’intonazione delle note si sviluppa in due volumi.
Nel primo, si apprendono i fondamentali di questa materia fino ad approdare
al secondo che conduce direttamente alla realizzazione della prova di
“solfeggio cantato” che è una delle sei prove da sostenere all’esame di
solfeggio.
Questa mia riflessione sul solfeggio cantato parte da un paradigma molto
semplice: la funzionalità armonica dei gradi della scala diatonica.
Invero, parlare di intonazione degli intervalli di seconda o di terza o di
quarta ecc.. non ha senso da un punto di vista didattico, perché la vera
difficoltà nell’intonare un salto non sta nell’ampiezza, tout court, del
salto stesso, bensì nella vicinanza o lontananza di esso dal suo centro
tonale. In altre parole, è più facile intonare DO-SOL che è un intervallo
appartenente all’accordo di I grado, (quindi di tonica), che non RE-FA che è
un intervallo che appartiene all’accordo di II grado, (quindi più lontano,
dal punto di vista tonale, rispetto al I grado). In definitiva,
l’intonazione risulta più difficile quanto più ci si allontana dal centro
tonale.
Con la speranza che questo mio lavoro possa essere visionato e magari,
perchè no, adottato dai miei colleghi, e segnare così, finalmente, un
"cursus" morbido (ma anche molto efficace) per il maestro che insegna e
l'allievo che apprende, porgo tanti saluti ed un grazie per l'attenzione.
Ha insegnato fino gennaio
2014 Chitarra Teoria e Solfeggio nella Scuola Popolare di Musica
“G.GERSHWIN” di Caivano (NA).
Insegna Chitarra Teoria e
Solfeggio nella biblioteca comunale del comune di Caivano.
Gaetano Natale
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